mercoledì 25 maggio 2016

Chiesa di San Bernardino e MAM (3T)

Chiesa di San Bernardino


Stato Italia
Regione Piemonte 
Località Ivrea
Religione Chiesa cattolica
Titolare Bernardino da Siena
Diocesi Ivrea
Stile architettonico stile rinascimentale
Inizio costruzione XV secolo
Completamento XV secolo
La chiesa quattrocentesca di San Bernardino in Ivrea, situata nell'area decentrata eporediese che ospita gli edifici industriali della Olivetti in via Jervis, 380, rappresenta un'attrattiva di notevolissimo interesse artistico, in virtù del grande tramezzo interno affrescato con le Storie della vita e passione di Cristo da Giovanni Martino Spanzotti tra il 1485 ed il 1490 ca.
La chiesa di San Bernardino in Ivrea
La chiesa, nella sua prima struttura, fu edificata tra il settembre del 1455 ed il gennaio del 1457 assieme al convento destinato all'ordine francescano dei frati minori osservanti. La grande devozione popolare nei confronti della figura di san Bernardino (che si suppone transitato ad Ivrea nel 1418) aveva convinto le autorità religiose ad appoggiare il progetto di costruzione del convento, che fu inaugurato con grande fasto alla presenza del vescovo di Ivrea, Giovanni Parella di San Martino, e del vicario francescano della provincia di Milano.
La prima chiesa era a pianta quadrangolare con volte ogivali a crociera, tipiche dell'architettura gotica; assieme al convento (comprendente due chiostri, le celle del dormitorio, il refettorio ed i laboratori) costituisce un esempio delle soluzioni architettoniche che furono care ai frati minori.

La chiesa era stata pensata soprattutto per i frati del convento, ma il grande afflusso dall'esterno di fedeli che prendevano parte alle cerimonie religiose, rese ben presto insufficienti gli spazi ad essi riservati. Nel 1465 ebbero luogo i lavori di ampliamento, con la costruzione di una navata con accesso al pubblico, divisa dalla chiesa primitiva da un tramezzo con tre arcate.
L'ampliamento comprendeva anche la costruzione di due cappelle laterali (andate poi distrutte) ed un ardito innalzamento della copertura per ricavare al di là del tramezzo uno spazio, direttamente collegato al monastero e riservato al coro.
L'anno dopo Amedeo IX di Savoia prese il monastero sotto la sua protezione; protezione che continuò dopo la sua morte del 1472 ad opera di sua moglie Iolanda di Valois.
Le fortune del monastero andarono decadendo già verso la fine del XVI secolo, anche a causa della rivalità con la confraternita, pur essa francescana, dei frati minori riformati, che subentrò nella gestione del convento a partire dal 1612, senza tuttavia arrestarne il declino. Nel Settecento la chiesa ed il convento subirono un ulteriore degrado a causa delle successive occupazioni militari, sino alla conquista napoleonica ed alla abolizione delle proprietà ecclesiastiche. La chiesa, ormai sconsacrata, venne utilizzata per anni come deposito agricolo.
Camillo Olivetti acquistò il complesso (posto nelle immediate vicinanze della sua fabbrica di macchine per scrivere) nel 1910 ed avviò un suo primo recupero, trasformandolo in sua abitazione. Egli fece anche rimuovere il soppalco costruito a ridosso della parete spanzottiana.
Fu poi Adriano Olivetti che realizzò, tra il 1955 ed il 1958, un più importante progetto di riqualificazione dell'area, destinandola a sede dei servizi sociali ed delle attività dopolavoristiche per i dipendenti aziendali.
Gli affreschi di Spanzotti, restaurati nello stesso periodo, trovarono la loro giusta celebrazione critica in un saggio di Giovanni Testori, che operava in quel tempo ad Ivrea presso i servizi culturali della Olivetti.
È merito dell'azienda di Ivrea aver garantito la successiva manutenzione del complesso, pur con alcuni improvvidi interventi di utilizzo industriale dell'area attigua alla chiesa.
"Crocefissione", scena centrale del ciclo di affreschi.
Ben poco si sa degli affreschi che ornano il presbiterio, i più antichi dei quali realizzati probabilmente a ridosso della sua edificazione (1457)
Nelle due cappelle poste in corrispondenza agli archi laterali del tramezzo troviamo dipinte rispettivamente una Crocifissione ed una Madonna col Bambino, Sante e Santi realizzati attorno al 1470 da ignoti artisti di provenienza lombarda che si attardano su moduli gotici (per la Madonna col Bambino si è avanzata dubitativamente un'attribuzione a Cristoforo de' Moretti).
I tramezzi affrescati che ancor oggi si possono vedere in Piemonte e Lombardia e Canton Ticino è dovuta alla committenza dell'Ordine dei Frati Minori Osservanti: essi ubbidiscono ad un programma iconografico ben preciso che doveva servire per dare enfasi alle predicazioni che si tenevano nella chiesa, particolarmente nel periodo dell'Avvento e nella Settimana Santa.
Quello affrescato da Giovanni Martino Spanzotti ad Ivrea è uno dei più antichi tra quelli superstiti, realizzato non molti anni dopo quelli che vengono ritenuti i primi esempi del genere (oggi scomparsi), vale a dire quello della chiesa di San Giacomo a Pavia (con affreschi di Vincenzo Foppa, di Bonifacio Bembo ed altri) e quello della vecchia chiesa di Sant’Angelo a Milano (con affreschi attribuiti al Foppa).

La committenza affidata allo Spanzotti sottolinea il suo debito stilistico verso il Foppa, che già Roberto Longhi aveva puntualmente sottolineato
L'interesse artistico della chiesa si concentra sul grande tramezzo affrescato dallo Spanzotti in due intervalli di tempo tra il 1485 ed il 1490 ca. Vi è narrata la Storia della Vita e della Passione di Cristo in venti scene (ognuna dalle dimensioni di 1,5 x 1,5 metri), più una grande Crocifissione avente una misura quadrupla rispetto alle altre. Le scene che si leggono in successione sono – nel registro superiore – l' Annunciazione, la Natività, l’Adorazione dei Magi, la Fuga in Egitto, la Disputa tra i dottori, il Battesimo, la Resurrezione di Lazzaro e l’Entrata in Gerusalemme; nel registro di mezzo troviamo l’Ultima Cena, la Lavanda dei piedi, la Preghiera nell'orto degli Ulivi, la Cattura di Gesù, Gesù davanti a Pilato, Gesù davanti a Caifa; nel registro inferiore troviamo infine le scene della Flagellazione, l’Ecce Homo, la Salita al Calvario, la Deposizione e la Resurrezione.
La grande e drammatica scena della Crocifissione, che colpisce l'attenzione del visitatore appena entrato in chiesa, rappresenta il fulcro patetico dell'intero ciclo.
Gian Martino Spanzotti, San Bernardino
Nei pilastri sottostanti troviamo raffigurata una immagine di San Bernardino ed un Cristo in Pietà, mentre ai lati degli archi, troviamo una Cacciata dall'Eden e scene del Giudizio Universale.
Il ciclo sul "tramezzo" della chiesa francescana d'Ivrea riflette non solo la esigenza pedagogica del committente di disporre, per l'ascolto delle prediche, di una "biblia pauperum" capace di tradurre le scritture in immagini, ma esprime soprattutto i tratti peculiari della devozionalità dei frati osservanti che punta a restituire una genuina carica umana al racconto evangelico. Spanzotti si dimostra capace di interpretare in modo esemplare il desiderio del committente, sviluppando una poetica nuova in grado di conferire al racconto la verità e la nobiltà dell'esperienza umana che è propria degli umili.

Nel suo saggio sugli affreschi di San Bernardino, Giovanni Testori osserva:
« È una nobiltà nuova quella che si fonda in questi anni nel Nord dell'Italia e alla quale lo Spanzotti offre questo suo inconfondibile tono: una nobiltà umana, anziché umanistica; il fatto riportato alle sue proporzioni reali e quotidiane, contro il fatto dilatato dall'iperbole dell'ideologia; il profondo del particolare, infine, contro l'esteso dell'universale. Ma reperire per costanza di verità una parola che ha durato e duri nel destino degli uomini, fitta nella loro carne e nel loro cuore, che grande, umana e, diciam pure, meritoria fatica! »

(Giovanni Testori, G. Martino Spanzotti – gli affreschi di Ivrea, 1958)
I colori ormai sbiaditi dal tempo e dalle ingiurie subite, non impediscono allo spettatore di apprezzare la qualità tecnica dei dipinti e la grande capacità dell'artista nel cogliere la diversa luce degli ambienti e delle ore del giorno.

« Spanzotti si trova libero di vedere stanze di gente contadina così come sono in una luce mattinale già pulite con cura a finestre aperte, con il tronco familiare dell’orto che è lì a portata di mano. [..] tanta è la sapienza dello Spanzotti nel trattare le luci sempre in modo naturale, secondo il variare dell'ora e dell'animo. Da quella luce viola che sembra scendere fredda e rabbrividente dalle montagne per rendere più pure le prime scene di sentimento raccolto e domestico (Annunciazione e Natività), a quella più calda dei grandi "aperti" dominati in primo piano dall'asinello vivacissimo (Fuga in Egitto, Entrata in Gerusalemme), a quella che bagna il Cristo nel momento della tragedia: quei panni intrisi di luce, nell'angoscia del sentimento - dall' Orazione nell'orto allo stare davanti a Pilato e a Caifa - una soluzione luministica, così carica di significato, da rendere grande da sola lo Spanzotti »

(Aldo Moretto, Indagine aperta sugli affreschi del Canavese, 1973)
Tra le molteplici qualità artistiche che il saggio di Testori sottolinea deve, quanto meno, essere menzionata la scena notturna della Cattura di Cristo, con quel «...fondersi inestricabile di ombre, figure, mani, lance, corazze e visi...» che anticipa di oltre un secolo il Caravaggio. Di particolare drammaticità, all'interno della scena della Crocifissione”, è l'accorre disperato della Maddalena, non immemore della lezione appresa dallo Spanzotti osservando la stessa figura negli affreschi eseguiti da Ercole de' Roberti (allievo di Francesco del Cossa) per il duomo di Bologna e nei "mortori" emiliani.
Elementi figurativi di chiara ascendenza nordica si spiegano attraverso la influenza esercitata sullo Spanzotti da Antoine de Lonhy.
In sintesi, attraverso gli affreschi del tramezzo, l'opera di Spanzotti si connota come punto d'incontro fertile delle espressioni artistiche presenti sui due versanti delle Alpi, aspetto che caratterizza per molti versi la peculiarità della produzione artistica in Piemonte nel corso di tutto il XV secolo.
Bibliografia
G. Testori, G. Martino Spanzotti – gli affreschi di Ivrea, Centro Culturale Olivetti, Ivrea 1958 (il saggio è stato riprodotto in Testori a Ivrea, (a cura dell'Associazione Giovanni Testori), Silvana Editoriale, 2004;
G. Romano, Giovanni Testori e Martino Spanzotti, in Testori a Ivrea, (a cura dell'Associazione Giovanni Testori), Silvana Editoriale, 2004
Aldo Moretto, Indagine aperta sugli affreschi del Canavese, Stabilimento tipo-litografico G. Richard, Saluzzo, 1973

Adele Rovereto, Il convento di S. Bernardino in Ivrea e il ciclo pittorico di Gian Martino Spanzotti, Priuli & Verlucca Editori, Ivrea, 1990

Itinerario MAM

Periodo della Meccanica
1896 Camillo Olivetti fonda la C.G.S., fabbrica di strumenti di misura elettrici. Fabbrica in mattoni rossi, sede della CGS.
1908 Fondazione della Società Olivetti.
1911 Viene presentata a Torino la M1, la prima macchina per scrivere italiana.
1912 Aperta la prima filiale Olivetti a Milano.
1920 Presentata in Italia la M20.
1926 Viene costituita la O.M.O. (Officina Meccanica Olivetti) che si occupa della costruzione di macchine utensili.Fabbrica OMO (in seguito demolita per far posto alla Nuova ICO).
1930 Nasce la M40.
Adriano Olivetti è a capo del neonato Ufficio Sviluppo e Pubblicità con il quale collaborano: Nizzoli, Figini e Pollini, Munari, B.B.P.R. ed altri.
1932 Presentata la prima portatile Olivetti MP1.
1934 Inizia la progettazione del primo ampliamento delle Officine ICO.
1935 Nasce la macchina per scrivere semi-standard Studio 42.
1937 Prima macchina telescrivente T1.
1938 Adriano Olivetti presidente della Società.
1939 Ulteriore ampliamento delle Officine ICO.
1940 Macchina da calcolo MC4S Summa disegnata da Nizzoli.
1941 Addizionatrice MC4M Multisumma. Inaugurato il nuovo asilo nido.
1942 Terminate le prime case per dipendenti a Borgo Olivetti ed in Via Castellamonte.
1943 Muore Camillo Olivetti.
1946 Esce la macchina da calcolo elettrica Elettrosumma. Nuovi edifici a Canton Vesco.
1948 Presentate la Lexicon 80 e la calcolatrice Divisumma 14, design di Nizzoli.
1950 Nuova portatile Lettera 22. Nuovo ampliamento delle Officine ICO.

Periodo dell'Elettromeccanica
1951 Costruite le case unifamiliari nel quartiere Castellamonte.
1952 Mostra Olivetti al MoMA di New York. Inizia la costruzione del Centro Studi ed Esperienze.
1954 Premio Compasso d'oro alla Lettera 22.
1955 Presentata la macchina contabile Audit 202. Inizia, a San Bernardo, la costruzione del nuovo stabilimento per la OMO e, ad Ivrea, l'ampliamento della Nuova ICO.

Periodo dell'Elettronica
1955 Calcolatore elettronico a valvole Elea 9000.
1957 Inizia la costruzione degli edifici per i servizi sociali di fabbrica.
1958 Esce la macchina da calcolo Elettrosumma 22.
1959 Calcolatore elettronico a transistor Elea 9003. Costruzione della Mensa centrale.
1960 Muore Adriano Olivetti.
1962 Si costruisce Palazzo Uffici.
1964 E. Sottsass disegna la Teckne 3 e la Praxis 48.
1965 Primo personal computer: Programma 101.
1969 Esce la Valentine.
1970 Si costruisce il Centro residenziale Ovest.
1973 Bellini disegna la Divisumma 18.
1976 Centro residenziale Est "La Serra".
1980 PC M20.
1984 PC M24.
1987 Ultimato Palazzo Uffici 2.

Officine Olivetti (fabbrica olivetti)
Pur non essendo un esempio di architettura razionalista, la fabbrica in mattoni rossi (come viene abitualmente chiamata) ha un grande valore storico: oltre ad aver ospitato la Prima fabbrica nazionale di macchine per scrivere Olivetti, l'edificio è stato realizzato su progetto dello stesso Camillo Olivetti.
Ciò che si vede oggi su via Jervis altro non è che una serie di ampliamenti (sempre con facciata in mattoni a vista) dell'edificio originale, ormai inglobato dai successivi interventi.

Officine ICO - 1° ampliamento: "Vecchia ICO"
Questo edificio, portato a termine nel 1939, fa parte del complesso "Officine ICO" di Ivrea, ampliamento (di circa 50.000 mq) della originaria fabbrica in mattoni rossi progettata da Camillo Olivetti nel 1895.
Dopo aver sopraelevato di un piano il primo ampliamento esistente e scartato il progetto che interessava la vecchia fabbrica, gli architetti Luigi Figini e Gino Pollini vennero chiamati a progettare un nuovo ampliamento delle officine Olivetti ad Ivrea.

Officine ICO - 2° ampliamento
L'edificio, portato a termine nel 1942, ha 3 piani fuori terra ed è caratterizzato da una facciata, quella su via Jervis, interamente vetrata. Questa, inizialmente più corta di quella visibile oggi, nel 1949 è stata ampliata ulteriormente, superando così una lunghezza totale di 100 metri.
Esposta a nord, la facciata ha un doppio ordine di infissi, appesi a mensole in cemento armato e distanti tra loro poco meno di un metro.
Per risolvere la differenza di quota tra i livelli del primo ampliamento e questo nuovo edificio, viene realizzato un ambiente, detto "Salone dei 2000" (tanti erano i dipendenti Olivetti allora), coperto da shed e circondato da rampe colleganti i vari livelli.
Visivamente, la differenza dei livelli viene "nascosta" grazie all'arretramento della facciata in conseguenza del raccordo tra i due edifici, soluzione adottata per seguire la leggera curva che via Jervis effettua in questo punto. Lo spazio così creato diventa ideale per l'ingresso alla nuova portineria, detta "del pino".


Asilo nido (Borgo Olivetti)
L'edificio sorge nella zona della città, dell'epoca, più funzionale al proprio utilizzo: la vicinanza con la stazione ferroviaria, i mezzi di trasporto e la fabbrica risultava un notevole aiuto per le mamme che, recandosi al lavoro, potevano agevolmente accompagnarvi i propri figli.
L'asilo, inoltre, è dotato di un'area sopraelevata e lontana dalla strada, adatta per la ricreazione all'aperto dei bimbi.
I muri dell'edificio sono stati realizzati in pietra ad "opus incertum", mentre i pilastri sono in pietra viva (diorite di Brosso), si pensa secondo un'antica usanza locale.
Il corpo principale racchiude nel perimetro della sua pianta un patio, separato dalla strada da un portico e coperto da un sistema di tende mobili.
Durante il periodo della II Guerra Mondiale, l'asilo fu utilizzato dai partigiani anche come infermeria.

Officine ICO - 3° ampliamento
Nel secondo dopoguerra, il complesso delle "Officine ICO" di Ivrea fu interessato da un ulteriore intervento di ampliamento, ancora ad opera degli architetti Luigi Figini e Gino Pollini ed ultimato nel 1949.
Di questo intervento, degne di nota sono le facciate su via Jervis e quella retrostante l'edificio. La prima (a nord), riprendendo il disegno del precedente ampliamento del 1942, viene prolungata di altre 7 campate e raggiunge così un fronte vetrato di oltre 100 metri.
Nello studio delle facciate verso via Montenavale ed il cortile (a sud) gli architetti decidono di arretrare la doppia vetrata. Per rendere minore l'insolazione nelle ore più calde, antepongono alla vetrata un reticolo formato da mensole sporgenti in cemento armato, alette orizzontali inclinate e lame verticali, anch'esse in cemento armato.
Dopo il collegamento con il successivo ampliamento, la vetrata su via Montenavale è scomparsa ed oggi le mensole con le alette in cemento sono visibili solamente in un tratto della facciata sud.
Per gran parte della facciata sul cortile retrostante, l'architetto Annibale Fiocchi firma una soluzione senza le alette inclinate, sostituite da tende alla veneziana. Queste verranno successivamente sostituite a loro volta da ante metalliche rotanti, disposte orizzontalmente e visibili ancora oggi.
Come per gli ampliamenti precendenti, i cortili interni, formati dalle maniche degli edifici perpedicolari tra loro, vengono coperti da shed, in modo da poterne sfruttare al massimo le aree interne.
Nel 2007 si sono conclusi i lavori di ristrutturazione dell'intero complesso 'ICO Centrale'.
Centro Studi ed Esperienze
L'edificio ha 3 piani fuori terra, più uno seminterrato, ed è costituito da 4 bracci asimmetrici disposti ortogonalmente tra loro, quasi a formare una croce, a partire da un corpo centrale contenente la scala e i vari servizi.
Le pareti esterne sono rivestite da piastrelle in klinker blu (chiaro e scuro), mentre la struttura in cemento armato è leggibile dall'esterno dal colore grigio, originariamente bianco, delle fasce marcapiano e dei pilastri perimetrali. I serramenti originali color rosso scuro ora sono di un rosso acceso molto contrastante con il resto dell'edificio.
Nel 1965, su progetto dell'architetto Ottavio Cascio, il secondo piano dell'ala est viene prolungato di 2 campate, a scapito di una delle terrazze.
L'edificio è stato recentemente ristrutturato da Ettore Sottsass e Marco Zanini per ospitare la sede dell'Interaction Design Institute Ivrea.







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