martedì 31 maggio 2016

Burolo (3T)

Ciucarun di Burolo
Il campanile della chiesa di San Martino si trova nel comune di Burolo; si trova in mezzo ad un ampio pianoro con vista sulle montagne della Valle d'Aosta e sta solitario come una sentinella al limite tra il bosco di castagno che lo sovrasta a monte e la distesa di prati che lo circonda, a mezza costa sul fianco sud della Serra quasi a vegliare i paesi sparsi nell'ampia pianura sottostante. In epoca medioevale Burolo si trovo' nell'area di contesa territoriale tra Ivrea e Vercelli.
 Nel X sec. la zona comprendeva tre piccoli centri abitati di antica origine, forse Celtica. Il capoluogo Burolo, Paerno e Pessano; all’inizio dell’XI sec. Ivrea, per contenere le mire espansionistiche di Vercelli decise di costruire un borgo franco o ricetto chiamando gli abitanti dei tre centri a risiedervi, offrendo condizioni favorevoli. Nel 1250 il ricetto era pronto ma nonostante le condizioni favorevoli non tutti gli abitanti del capoluogo aderirono all’invito di spostarsi, accettarono invece quelli di Paerno e Pessano abbandonando i loro villaggi che con il tempo decaddero fino a scomparire. Della località di Paerno rimane l’importante torre campanaria svettante solitaria da piu' di 800 anni su un bellissimo pianoro che si apre tra i boschi della Serra, il campanile apparteneva alla Chiesa di San Martino che venne demolita nel XVIII sec. per ordine del Vescovo a causa delle pessime condizioni, rimase la torre con il nome locale di “Ciucarun”. Il "Ciucarun", come lo chiamano i locali, si erge per un'altezza di sei piani evidenziati da cinque cornici di archetti pensili che collegano le lesene angolari; dal basso verso l'alto presenta la tipica successione di aperture: feritoie, monofore e bifore, tutte tamponate eccetto l'ultimo piano. Alla base, sul lato ovest, sono visibili un'apertura ad arco, ora murata, che era uno degli accessi al campanile, e tracce di muratura che confermano la presenza della chiesa annessa. All’interno l’unica navata termina con abside semicircolare con volta a semicatino; sia le pareti e sia l’abside avevano rinfreschi. Rimane, solitario, il campanile le cui "Ciocaron" da secoli non fanno più sentire i loro rintocchi.


 

Banchette (3T)

BANCHETTE


Banchette è un comune italiano, di 3.294 . Ex centro agricolo, gravita economicamente su Ivrea. Il nucleo originario è situato attorno al castello, costruito su uno sperone roccioso sovrastante il letto della Dora Baltea, mentre gli edifici moderni sono sorti più a sud in territorio pianeggiante.
STORIA
Nel XII secolo un ramo dei De Civitate Ipporgioreale assunse la signoria di Banchette, che successivamente passò ai Dal Pozzo. Nel 1335 la parrocchia di Banchette venne incorporata nell'arcipretura del Capitolo di Ivrea, con Salerano e Samone. Nel 1349 tra i credenziari che giurarono fedeltà per la città di Ivrea ai Savoia, si annoverano alcuni banchettesi: Micha e Ardicio de Banchetis, Ottine de Bonasceto, Jacobo de Rodulfho de Banchetis.Estinti i De Banchetis ed i De Bosceto, Banchette fu infeudata il 2 giugno 1619 con annessi Salerano e Samone, a favore di De Damas.In seguito subentrarono i Pinchia, famiglia originaria di Ribordone. Nel 1786 per convenzione con l'arciprete del Capitolo eporediese, Samone si staccò dalla parrocchia di Banchette. Stessa sorte ebbe, nel 1789, Salerano.
LUOGHI D'INTERESSE
-Il castello esisteva già nel XIV secolo, come casaforte. Edificato dai Di Banchette, su vestigia romane. Infeudato il 2 giugno 1619, con annessi Salerano e Samone a favore di De Damas. Passa durante il regno dei Savoia ai Pinchia, poi ai Passerin d'Entrèves, ai Novarese ed ora alla Floramo Corporation S.r.l. della famiglia Quaglia.
-La Parrocchiale di San Cristoforo è tra le più antiche della Diocesi,è sempre stata alle dirette dipendenze del vescovo di Ivrea. La facciata, di forme neoclassiche, è oggi affiancata da due campanili. La chiesa è ora dedicata a San Cristoforo e a San Giacomo. La parrocchia di San Cristoforo comprendeva originariamente gli abitati di Banchette, di Samone e di Salerano.Il 2 marzo 1787 il Comune di Samone otteneva che si erigesse la nuova parrocchia in Samone, mentre il 5 aprile 1787 i sindaci di Banchette e Salerano ottenevano di staccare la loro parrocchia dall'Arcipretura della Cattedrale di Ivrea. Nel 1837 anche Salerano si distacca dalla parrocchia di Banchette e diventa parrocchia autonoma.












MANIFESTAZIONI
CARNEVALE
È la manifestazione più amata dai cittadini di Banchette che partecipano a tutte le iniziative che la compongono. La manifestazione si svolge con il patrocinio ed il contributo del Comune di Banchette e della Regione Piemonte.La Cossatera ed il Cossatè sono accompagnati durante tutte le apparizioni, dai componenti dell'Ordine del Fiore di Zucca.Da rilevare tra le altre iniziative, l'incontro dei giovani, rappresentati dai coscritti, che accompagnano i personaggi del carnevale in visita agli anziani portandogli i Fagioli Grassi ed accolti dagli stessi anziani con festeggiamenti, bevande e leccornie.Il Carnevale Banchettese si caratterizza, per il suo svolgimento in notturna e per la partecipazione dei cittadini che allestiscono lungo le vie tavoli imbanditi con pesciolini fritti ed altre leccornie. Le cerimonie principali si svolgono nel Castello di Banchette.

IL GIUGNO BANCHETTESE
Si tratta di una serie di iniziative: quali Spettacoli Teatrali, Concerti, tornei di Calcio Balilla, festa della Birra; esibizioni canore e spettacoli di Danza.

MAIS ROSSO DI BANCHETTE
Il Mais Rosso di Banchette è un'antica varietà di mais, recuperata grazie al prezioso lavoro di un gruppo di agricoltori appassionati, supportati dall'Amministrazione comunale di Banchette.La Sagra è un importante appuntamento per far conoscere questo prodotto dalle caratteristiche uniche e far riscoprire i vecchi sapori.Durante la manifestazione, nelle piole allestite nei cortili del centro storico, è possibile degustare il pignoletto rosso sotto forma di polenta e cinghiale, polenta e merluzzo, polenta e spezzatino, polenta e moscardini, polenta e salsiccia, polenta concia, polenta e formaggio, polenta e suet, e altre specialità.La manifestazione, coinvolge altri produttori locali di specialità agroalimentari, gruppi folcloristici e di animazione, insieme alla valorizzazione delle tipicità del Canavese. Il Canavese offre un ampio ventaglio di produzioni enogastronomiche tipiche di alta qualità, in particolare nei comparti della cerealicoltura, dell'orticoltura, del vino e dei formaggi. Inoltre può contare sulla produzione di altre specialità quali salumi, miele, pasticceria tradizionale, ecc.Obiettivi della sagra sono la valorizzazione, la promozione e la diffusione commerciale di queste produzioni

     Personaggi carnevale
                          Mais rosso di Banchette







Samone (3T)

SAMON
SAMONE è un paese che attualmente conta circa 1.650 abitanti. Sorge in prossimità di Ivrea, con la quale ha condiviso la vita, la storia e la crescita portata dalla trasformazione industriale della Olivetti.


UN PO’ DI STORIA
Al tempo della “romana” Eporedia il paese non esisteva ancora e la pianura del Ribes faceva parte di quel contado che forniva prodotti agricoli e animali alla città.
La leggenda narra che il paese abbia avuto origini da una carovana di zingari che accamparono sulle rive del torrente Ribes. La terra fertile convinse i nomadi a prolungare la sosta. Presto nacque un villaggio di capanne che man mano si trasformarono in più solide abitazioni: la terra generosa ripagò quella gente con ottimi raccolti, specialmente di rape.
Tale leggenda viene ricordata nel suo Carnevale che si tiene tre settimane dopo quello di Ivrea.



















LA PRO LOCO
Tra le Associazioni attive nel nostro Paese c’è la Pro Loco. Nata nel 1991 si è posta l’obbiettivo di valorizzare usi, costumi, feste, antichi mestieri e la semplice genuinità della cucina. Punto di forza, le famose “frittelle di mela”: le “frittelle della zia Gina” prodotte esattamente come la ricetta antica della signora Gina.



USI, COSTUMI E FESTE
Il Patrono di Samone è San Rocco, che si festeggia il 16 agosto di ogni anno. In quell’occasione si festeggia per alcuni giorni includendo anche il giorno di Ferragosto.
A Samone è conservata l’abitudine di festeggiare anche Sant’Antonio Abate, San Giuseppe, Sant’Isidoro, Madonna del Carmine nominando i Priori della varie occasioni.
Molto sentito è il Carnevale, consolidato da 44 anni, ormai conosciuto in tutto il Canavese. I personaggi principali sono: il Ravisun e la Ravisera, che ricordano i primi abitanti di Samone, coltivatori di rape. Un rito importante del Carnevale è quello di piantare una rapa nel giardino del Municipio. Il Carnevale si svolge in 3 giorni. I personaggi sono segreti fino al sabato sera dove escono dal balcone del Municipio acclamati dai compaesani. Il giorno dopo, la domenica, si svolge il corteo con parata di carri allegorici e bande varie. Il lunedì si chiude il Carnevale con la cena di Polenta e Merluzzo.

 

I MONUMENTI
I monumenti più importanti di Samone sono:la chiesa di Santa Maria del Carmine, la chiesa Parrocchiale di San Rocco e Villa Garda, il castello di Samone.
La Chiesa di Santa Maria del Carmine fu la prima chiesa costruita a Samone. Fu edificata nel 1700 in quella che allora era la zona sud del paese, quindi lontano dall'abitato dell'epoca. Promotore della costruzione fu un sacerdote, Don Gatta, che, insieme agli abitanti del paese, la dedicò alla Madonna dei frati Carmelitani, per devozione e per scongiurare il pericolo del colera che incombeva, in quei tempi, sulle popolazioni.
La chiesa di San Rocco venne edificata alla fine del 1700 in stile barocco, ad una sola navata e si affaccia su una piazzetta ove dal 1846 al 1984 ha trovato sede anche il municipio. La tradizione racconta che San Rocco era un pellegrino del 1300 con voto di povertà. Egli assisteva i lebbrosi ed ammalatosi a sua volta, dovette vivere lontano dai villaggi e un cane gli portava il pane che la carità degli uomini gli inviava. San Rocco così guarì e continuò il suo impegno di assistenza.
 Il Castello di Samone, anche conosciuto come "Castello Garda", venne edificato a partire dalla seconda metà del 1700, sui resti di quello 500esco, da Francesco Antonio Garda, quale propria residenza di campagna. L'imponente struttura che ancora oggi si può ammirare, architettonicamente semplice e molto lineare, in stile Neoclassico, è frutto di numerosi rimaneggiamenti che discendenti e nuovi proprietari attuarono nel corso dei decenni




Castello di Montalto Dora (3T)

ITINERARIO SU MONTALTO DORA


 Montalto Dora è un comune italiano di 3.493 abitanti della città di Torino, in Piemonte.
Ogni anno, nell'ultima domenica di novembre, vi si svolge una sagra del
 cavolo verza, manifestazione che attira turisti da molte zone del nord Italia e che celebra il prodotto più significativo dell'agricoltura 
locale.

Castello di Montalto
 IL TERRITORIO: Il Castello di Montalto Dora è situato in posizione strategica rispetto ai principali aeroporti e località sciistiche del Piemonte e della Valle D’Aosta.
Si erge sull’antica via Francigena, il lungo cammino che i pellegrini percorrevano da Canterbury a Roma, passando per il Gran San Bernardo e Ivrea. Ed è, inoltre, inserito all’interno del circuito dei Castelli del canavese, composto da una serie di antichi manieri, tra i quali il Castello ducale di Agliè, il Castello di Masino ed il Castello di Pavone.
Il Castello di Montalto Dora si trova in un ambiente geologico assolutamente particolare e unico in Europa: la Serra di Ivrea, lunga 25 km e considerata tra le colline moreniche più affascinanti d’Europa.
Il territorio è inoltre particolarmente ricco d’acqua e circondato da laghi balneabili, tra cui il Lago Sirio, il Lago Nero e il Lago Pistono. Il comprensorio è perciò sottoposto a vincolo idrogeologico e paesaggistico.
La natura del Canavese, rigogliosa e florida grazie all’assenza di inquinamento, costituisce un quadro di grande suggestione, tanto che l’intera area si è vista attribuire nel tempo il nome di “giardino di Torino”.













LA STORIA: Il Castello di Montalto Dora ha visto sfilare secoli di storia, dai Savoia agli spagnoli, dai francesi ai tedeschi, subendo numerosi attacchi da parte degli invasori,vivendo il tormentato periodo napoleonico e assaporando la tanto agognata pace grazie all’Unità d’Italia.
La sua costruzione è riconducibile alla prima metà del XII secolo, come testimonia un documento del 1140, nel quale viene menzionato come “
Castrum Montisalti”, appartenente alla giurisdizione del Vescovo D’Ivrea.
Molteplici casate possedettero il maniero. Nel XIV secolo entrò a far parte dei possedimenti dei Savoia, che nel 1403 lo cedettero alla casata dei De Jordanis di Bard, che proseguì con i lavori di edificazione.
Tra i vari attacchi che si sono susseguiti nel tempo, va ricordato quello avvenuto durante l’assedio di Ivrea del 1641 da parte delle truppe francesi del marchese d’Harcourt, in guerra contro il ducato di Savoia: in quella occasione infatti venne smantellato l’interno dell’edificio, mentre rimasero in larga parte intatte le strutture esterne.
All’inizio del XVIII secolo il Castello passò alla famiglia Vallesa che lo mantenne sino ai primi anni dell’Ottocento, quando la casata si estinse. Divenne poi patrimonio del conte Severino dei Baroni di Casana che iniziò a restaurarlo ed a valorizzarlo. Risalgono all’inizio del 1900 i primi studi e le indicazioni di restauro a cura dell’ingegnere Carlo Nigra e dell’architetto portoghese Alfredo d’Andadre, ideatore del Borgo medievale di Torino.
Nel 1963 il complesso monumentale divenne di proprietà della famiglia Allioni di Brondello che avviò, dal 1965 al 1985, una campagna di recupero degli edifici all’interno della cinta muraria e la valorizzazione del parco.
Negli ultimi anni, l’attuale proprietà ha ripreso e portato a termine interventi di restauro funzionali sia agli interni che agli esterni, insieme ad opere di valorizzazione del parco e della sua vegetazione.























RESTAURI: La storia recente del monumento, a partire dal secondo dopoguerra, è caratterizzata da una serie di interventi di recupero di quelli che erano considerati “i ruderi del castello”: un primo ciclo di lavori intrapresi negli anni ’60 e durato circa venti anni, ha restituito all’edificio la sua completezza con interventi di recupero di parti completamente rovinate dopo secoli di abbandono.















In tempi più recenti, a partire dal 2003, sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Torino, Asti, Cuneo, Biella, Vercelli, gli interventi hanno avuto un carattere manutentivo per il recupero e la conservazione: delle mura esterne in scampoli di pietra (fronti sud e ovest), del camminamento di guardia e della merlatura. Al fine di ricostruire la continuità materica e l’uniformità di lettura delle imponenti superfici murarie si è provveduto, in estrema sintesi, ad un preliminare intervento di consolidamento delle superfici, ad un successivo intervento di pulitura e, per concludere, ad una protezione finale.
Nell’ambito del precedente cantiere si è intervenuti con una manutenzione straordinaria della copertura della manica sud dell’edificio realizzata in lastre di pietra di grande formato e con la posa di un nuovo impianto di protezione dalle scariche atmosferiche.
Nel 2011 è stata avviata una campagna di studi relativi alla Cappella del Castello, propedeutici ad un cantiere di restauro conservativo: la campagna di saggi stratigrafici sulle decorazioni interne e lo studio storico-artistico hanno permesso di individuare la traccia di una ricca partitura decorativa tardo-medievale al di sotto dei più recenti strati di decorazione.
  
 
EVENTI
: Il Castello, per la sua collocazione, per la sua atmosfera ed evocazione storica, è il luogo ideale per set fotografici e cinematografici.
Negli anni è stato lo scenario di importanti film e cortometraggi di respiro internazionale come il film “Dracula” di Dario Argento o la fiction tv in costume “La Freccia Nera”, per citare alcuni esempi noti.
Il Castello è lo scenario ideale per feste di ogni genere, iniziative culturali, location per incontri, meeting e conferenze.
Ne sono una testimonianza le Giornate della Primavera organizzate dal FAI (Fondo Ambiente Italiano) che prevedono annualmente l’apertura straordinaria del Castello al pubblico, o le tante iniziative culturali  proposte per godere degli ampi spazi interni ed esterni insieme alle famiglie e ai bimbi di ogni età.
Diverse anche le iniziative locali che invitano i turisti a riscoprire i misteri della fortezza medievale, come le iniziative a cura della Provincia di Torino o delle Regione Piemonte.


mercoledì 25 maggio 2016

Castello D'Ivrea, MAM (3T)

Castello D'Ivrea


Storia
La costruzione iniziò nel 1358 per volere di Amedeo VI di Savoia, detto il Conte Verde con incarico affidato all'architetto Ambrogio Cognone si concluse tra il 1393 e 1395 impegnando una grande quantità di manodopera: si ritiene che in certe giornate vi lavorassero più di mille persone (si consideri che a quei tempi Ivrea aveva circa 3500 abitanti con maestranze qualificate provenienti da Vercelli, Milano e Ginevra. Con la scelta del sito Amedeo VI volle che il castello si ergesse a fianco delle sedi principali del potere politico e religioso medioevale: il Palazzo Vescovile ed il Comune (Palazzo della Credenza). Per far posto al nuovo edificio fu necessario abbattere diverse case e le mura della città verso nord.
Situato in posizione strategica dalla quale è possibile dominare la strada che conduce in Val d'Aosta, il castello fu costruito soprattutto con funzione difensive. Il castello fu concepito come costruzione massiccia a pianta quadrangolare, con torri cilindriche che si innalzano direttamente dal terreno; i locali e le stanze del castello si sviluppano su tre maniche, alte verosimilmente tre piani, che si affacciano sul cortile interno. L'accesso avviene attraverso un'antiporta ed un successivo ponte levatoio sospeso sopra un fossato. Lungo il perimetro delle mura con merlatura a coda di rondine corre il camminamento di ronda, sorretto da beccatelli aventi scopo difensivo. Nel cortile si notano ancora il pozzo e la ghiacciaia (diametro di 6 m. e profondità di 4m).

Cessate le tensioni belliche che ne avevano determinato la costruzione, nella seconda metà del XV secolo il castello funse soprattutto da raffinata dimora dei Savoia, assistendo allo sviluppo della cultura e delle arti che fu promosso in particolare dalla duchessa Iolanda di Valois, figlia di Carlo VII re di Francia e di Maria d'Angiò. Uno scritto del 1522 redatto in occasione della celebrazione di un battesimo, ci informa sugli arredi delle sale, gli addobbi, i balli e le feste che animavano la vita di corte[2]. Conosciamo anche il nome di un pittore francese tardogotico, Nicolas Robert, che affrescò nel castello l'oratorio di Iolanda di Valois (a dispetto delle testimonianze scritte, delle sue opere non è rimasta traccia)[3]. Del gusto cortese di tale periodo rimane traccia in una elegante bifora ad archi trilobati sormontata da stemmi della casa Savoia che si apre in alto sulla parete sud.
Tra il XVI e il XVII secolo, con l'infuriare nel territorio canavesano delle lotte tra francesi e spagnoli, il castello fu ristrutturato e riprese la sua funzione di presidio militare. Nel 1676 un fulmine provocò l'esplosione del deposito di munizioni collocato nella torre di nord-ovest (la torre mastra), esplosione che causò, assieme al crollo della torre, innumerevoli morti e la distruzione di molteplici case edificate a ridosso del castello. La torre non venne ricostruita, ed oggi si presenta mozza, con una copertura conica in lastre di ardesia.
Dal 1700 l'edificio venne adibito a carcere mantenendo poi tale funzione fino al 1970. In questo periodo intervennero significative ristrutturazioni legate ad esigenze carcerarie: così probabilmente la originaria struttura a tre piani fu modificata in quattro, ricavando un maggior numero di vani di minore altezza. Dopo il 1970, il castello rimase abbandonato e chiuso al pubblico per nove anni. Successivi restauri comportarono la eliminazione di corpi di fabbrica che erano stati aggiunti nel cortile, la revisione di tutte le coperture ed il restauro delle torri merlate. Il castello, proprietà dello Stato, è oggi in concessione al Comune che in specifiche occasioni ha garantito la sua apertura al pubblico.

AMEDEO VI DI SAVOIA

Detto il Conte verde per le insegne assunte durante i tornei, contribuì in maniera decisiva al rafforzamento territoriale e d'immagine della dinastia.
Dopo una serie di guerre locali contro il cugino Giacomo d'Acaia e i marchesi di Saluzzo e del Monferrato, fu sollecitato da Urbano V ad intervenire contro i turchi in favore dell'imperatore d'Oriente, Giovanni V Paleologo; in questa occasione riportò importanti vittorie.
Condusse anche una guerra contro i Visconti che si concluse con l'annessione di Cuneo e di Biella ai territori sabaudi.
Durante le guerre di successione del Napoletano, cui partecipò parteggiando per la visita. Oltrepassato il primo cancello di ingresso al castello, si giunge nella zona un tempo occupata dal fossato e dall'antiporta, quindi si procede, superando un secondo cancello, nel grande cortile centrale sul quale si affacciano le numerose finestre delle celle, protette da fitte inferriate. Da questo punto si possono osservare le torri: quella in parte distrutta nell'incendio del 1676, le due torri con i merli a coda di rondine e quella priva di merlature.
Al centro del cortile vi sono una grande cisterna di sei metri di diametro ed un pozzo. La prima veniva utilizzata come ghiacciaia, il secondo per l'approvvigionamento idrico del castello. L'interno del castello, costituito quasi interamente dalle prigioni dei detenuti, è visitabile solo in parte al piano terreno; in una delle celle è esposto un plastico che riproduce il castello in miniatura.














MAAM IVREA,OLIVETTI


Il Museo, inaugurato nel 2001, si sviluppa lungo un percorso di circa due chilometri che interessa via Jervis e le aree contigue su cui sorgono gli edifici più rappresentativi della cultura olivettiana.
Lungo i percorsi pedonali pubblici, che collegano gli edifici, sono collocate sette stazioni tematiche informative, in una successione tale da costituire un possibile itinerario di visita e caratterizzate da una forte integrazione con il tessuto urbano.
I temi illustrati dalle stazioni riguardano le vicende inerenti l'impegno della Olivetti nel campo dell'architettura, dell'urbanistica, del disegno industriale e della grafica pubblicitaria e i contesti culturali in cui queste vicende si collocano:

  • Catalogazione: schedatura degli edifici ai sensi della Legge Regionale 35/95 per la tutela e la salvaguardia degli stessi; ricerca di informazioni e documentazioni grafiche e iconografiche.

  • Conservazione: creazione e gestione di strumenti di controllo sull'azione dei privati e messa in atto di processi di coinvolgimento e responsabilizzazione dei proprietari.

  • Fruizione: servizi di divulgazione e promozione quali visite guidate, pubblicazione guide, sito internet.
GLI EDIFICI

Per capire il ruolo dell'architettura olivettiana nella vita e nell'industria, sarebbe necessario esaminare, dal punto di vista della loro funzione e del loro ambiente, decine di edifici e di costruzioni in Italia e all'estero, dalle fabbriche alle residenze, dalle mostre permanenti alle esposizioni temporanee. L'architettura della Olivetti non è il lavoro di una personalità singola. Molti architetti, ingegneri ed artisti hanno dato la loro impronta individuale alle costruzioni della Società Olivetti. Il suo interesse per l'architettura comincia negli anni Trenta quando la fabbrica si stava riorganizzando ed una nuova politica nella produzione e nel design generale veniva adottata. In quel periodo nel focalizzare il problema della pianificazione regionale, Adriano Olivetti aveva cooperato da vicino con diversi gruppi di architetti la cui preoccupazione era quella di trovare nuove espressioni che rompessero con le radici della tradizione accademica italiana. La fiducia di Adriano Olivetti in un determinato gruppo di artisti non diventò mai un'abitudine, per questo motivo mai si parlò di una progettazione ripetitiva. Numerosi architetti con diversi punti di vista furono via via coinvolti tanto più a lungo quanto più era creativa la loro personalità.

Adriano OLIVETTI

Nasce ad Ivrea nel 1901 e si laurea in Ingegneria Chimica Industriale a Torino nel 1924, anno in cui inizia a lavorare nella fabbrica del padre. Nel 1925 va negli Stati Uniti con Domenico Burzio per studiare l'organizzazione industriale che applicherà all'azienda di famiglia una volta tornato in Italia. Nel 1938 assume la guida della Società. Conscio dello stretto rapporto fra sviluppo industriale e condizioni del territorio, promuove progetti ed esperienze di pianificazione (ad esempio: il Piano regolatore della Val d'Aosta e quello di Ivrea; l'indagine sui "Sassi" e il Villaggio La Martella di Matera).
In ambito più propriamente politico e culturale fonda un movimento e una casa editrice, per i quali sceglie il nome di "Comunità".
Sempre in questo ambito di interessi, ha seguito da anni l'attività dell'Istituto Nazionale di Urbanistica. Nel 1949 fa "rinascere", finanziandola personalmente, la rivista dell'Istituto.
Nel 1950, portato alla Presidenza dell'Istituto da una cordata di giovani architetti (fra questi, Ludovico Quaroni) Adriano potrà portare avanti il suo discorso sul primato politico dell'urbanistica e della pianificazione.
Muore improvvisamente sul treno Milano - Losanna il 27 febbraio 1960.

Camillo OLIVETTI

Samuel David Camillo Olivetti nasce ad Ivrea nel 1868 e si laurea in Ingegneria al Politecnico di Torino con il prof. Galileo Ferraris, col quale nel 1893 va in America e lavora presso la Stanford University in California. Nel 1894 torna in Italia ed apre una fabbrica per strumenti di misurazione elettrica, la "CGS" (Centimetro, Grammo, Secondo). Cura personalmente la formazione professionale dei primi operai, tra cui Domenico Burzio che diverrà capo dell'ufficio progetti. Nel 1907 nasce la "Ing. C. Olivetti & C., Prima Fabbrica Nazionale di Macchine da Scrivere". La prima macchina per scrivere, chiamata M1, esce nel 1909 e cattura l’attenzione all'Esposizione Universale di Torino del 1911. Dopo la Prima Guerra Mondiale, nasce la M20, più elegante e funzionale. Accanto alla prima fabbrica ne sorge una nuova per la produzione di macchine utensili: la O.M.O. (Officina Meccanica Olivetti). Nel 1929 viene aperta la prima filiale estera a Barcellona. Nel 1931 esce un nuovo modello, la M40 ed un anno dopo la prima portatile, la MP1. Nel 1937 inizia la produzione di telescriventi e nel 1941 quella di macchine per il calcolo. Nel 1938 lascia la guida dell'azienda al figlio Adriano, mantenendo per sé solo il posto di manager alla O.M.O. Uomo di grandi convinzioni morali, impegnato in politica, contrasta fortemente le idee fasciste; il suo pensiero socialista lo porta a costituire una fondazione che si occupa del personale fornendo servizi quali: asili e campi estivi per i figli, assistenza medica, borse di studio, biblioteche e progetti residenziali. Muore il 4 dicembre 1943.




Loranzè (3T)

Loranzè

Il mio itinerario su Loranzè parte da Loranzè basso e arriva a Loranzè alto. 
Partendo dal Basso troviamo la Chiesa di San Firmino, ritenuta la chiesa più antica della Padana, chiamata così perché sorge sulle rovine di un tempio pagano; prima era considerata la Chiesa Parrocchiale di Colleretto, Parella e Loranzè, ora lo è:

La Chiesa di San Lorenzo.



Salendo verso Loranzè alto, troviamo il Castel Rosso, che si trova in mezzo alla natura ed è difficile da raggiungere. È la costruzione più antica di cui rimangono parti risalenti all' XI secolo, che sorgono su un edificio circolare, forse una torre di guardia. A questo periodo appartengono anche alcuni inglobati nelle successive costruzioni, come la torre quadrata. Il castello è tutt'ora rovinato per colpa dei combattimenti avvenuti con i Valperga.

Castel Rosso di Loranzè Alto.


Sulla sommità della roccia, sulla punta di Loranzè Alto, troviamo il Masso Coppellato, che domina la pianura sottostante. Su questa troviamo incavi incisi presumibilmente dall'uomo tra il Neolitico e l'età del ferro. 

Masso Coppellato


Chiesa di San Bernardino e MAM (3T)

Chiesa di San Bernardino


Stato Italia
Regione Piemonte 
Località Ivrea
Religione Chiesa cattolica
Titolare Bernardino da Siena
Diocesi Ivrea
Stile architettonico stile rinascimentale
Inizio costruzione XV secolo
Completamento XV secolo
La chiesa quattrocentesca di San Bernardino in Ivrea, situata nell'area decentrata eporediese che ospita gli edifici industriali della Olivetti in via Jervis, 380, rappresenta un'attrattiva di notevolissimo interesse artistico, in virtù del grande tramezzo interno affrescato con le Storie della vita e passione di Cristo da Giovanni Martino Spanzotti tra il 1485 ed il 1490 ca.
La chiesa di San Bernardino in Ivrea
La chiesa, nella sua prima struttura, fu edificata tra il settembre del 1455 ed il gennaio del 1457 assieme al convento destinato all'ordine francescano dei frati minori osservanti. La grande devozione popolare nei confronti della figura di san Bernardino (che si suppone transitato ad Ivrea nel 1418) aveva convinto le autorità religiose ad appoggiare il progetto di costruzione del convento, che fu inaugurato con grande fasto alla presenza del vescovo di Ivrea, Giovanni Parella di San Martino, e del vicario francescano della provincia di Milano.
La prima chiesa era a pianta quadrangolare con volte ogivali a crociera, tipiche dell'architettura gotica; assieme al convento (comprendente due chiostri, le celle del dormitorio, il refettorio ed i laboratori) costituisce un esempio delle soluzioni architettoniche che furono care ai frati minori.

La chiesa era stata pensata soprattutto per i frati del convento, ma il grande afflusso dall'esterno di fedeli che prendevano parte alle cerimonie religiose, rese ben presto insufficienti gli spazi ad essi riservati. Nel 1465 ebbero luogo i lavori di ampliamento, con la costruzione di una navata con accesso al pubblico, divisa dalla chiesa primitiva da un tramezzo con tre arcate.
L'ampliamento comprendeva anche la costruzione di due cappelle laterali (andate poi distrutte) ed un ardito innalzamento della copertura per ricavare al di là del tramezzo uno spazio, direttamente collegato al monastero e riservato al coro.
L'anno dopo Amedeo IX di Savoia prese il monastero sotto la sua protezione; protezione che continuò dopo la sua morte del 1472 ad opera di sua moglie Iolanda di Valois.
Le fortune del monastero andarono decadendo già verso la fine del XVI secolo, anche a causa della rivalità con la confraternita, pur essa francescana, dei frati minori riformati, che subentrò nella gestione del convento a partire dal 1612, senza tuttavia arrestarne il declino. Nel Settecento la chiesa ed il convento subirono un ulteriore degrado a causa delle successive occupazioni militari, sino alla conquista napoleonica ed alla abolizione delle proprietà ecclesiastiche. La chiesa, ormai sconsacrata, venne utilizzata per anni come deposito agricolo.
Camillo Olivetti acquistò il complesso (posto nelle immediate vicinanze della sua fabbrica di macchine per scrivere) nel 1910 ed avviò un suo primo recupero, trasformandolo in sua abitazione. Egli fece anche rimuovere il soppalco costruito a ridosso della parete spanzottiana.
Fu poi Adriano Olivetti che realizzò, tra il 1955 ed il 1958, un più importante progetto di riqualificazione dell'area, destinandola a sede dei servizi sociali ed delle attività dopolavoristiche per i dipendenti aziendali.
Gli affreschi di Spanzotti, restaurati nello stesso periodo, trovarono la loro giusta celebrazione critica in un saggio di Giovanni Testori, che operava in quel tempo ad Ivrea presso i servizi culturali della Olivetti.
È merito dell'azienda di Ivrea aver garantito la successiva manutenzione del complesso, pur con alcuni improvvidi interventi di utilizzo industriale dell'area attigua alla chiesa.
"Crocefissione", scena centrale del ciclo di affreschi.
Ben poco si sa degli affreschi che ornano il presbiterio, i più antichi dei quali realizzati probabilmente a ridosso della sua edificazione (1457)
Nelle due cappelle poste in corrispondenza agli archi laterali del tramezzo troviamo dipinte rispettivamente una Crocifissione ed una Madonna col Bambino, Sante e Santi realizzati attorno al 1470 da ignoti artisti di provenienza lombarda che si attardano su moduli gotici (per la Madonna col Bambino si è avanzata dubitativamente un'attribuzione a Cristoforo de' Moretti).
I tramezzi affrescati che ancor oggi si possono vedere in Piemonte e Lombardia e Canton Ticino è dovuta alla committenza dell'Ordine dei Frati Minori Osservanti: essi ubbidiscono ad un programma iconografico ben preciso che doveva servire per dare enfasi alle predicazioni che si tenevano nella chiesa, particolarmente nel periodo dell'Avvento e nella Settimana Santa.
Quello affrescato da Giovanni Martino Spanzotti ad Ivrea è uno dei più antichi tra quelli superstiti, realizzato non molti anni dopo quelli che vengono ritenuti i primi esempi del genere (oggi scomparsi), vale a dire quello della chiesa di San Giacomo a Pavia (con affreschi di Vincenzo Foppa, di Bonifacio Bembo ed altri) e quello della vecchia chiesa di Sant’Angelo a Milano (con affreschi attribuiti al Foppa).

La committenza affidata allo Spanzotti sottolinea il suo debito stilistico verso il Foppa, che già Roberto Longhi aveva puntualmente sottolineato
L'interesse artistico della chiesa si concentra sul grande tramezzo affrescato dallo Spanzotti in due intervalli di tempo tra il 1485 ed il 1490 ca. Vi è narrata la Storia della Vita e della Passione di Cristo in venti scene (ognuna dalle dimensioni di 1,5 x 1,5 metri), più una grande Crocifissione avente una misura quadrupla rispetto alle altre. Le scene che si leggono in successione sono – nel registro superiore – l' Annunciazione, la Natività, l’Adorazione dei Magi, la Fuga in Egitto, la Disputa tra i dottori, il Battesimo, la Resurrezione di Lazzaro e l’Entrata in Gerusalemme; nel registro di mezzo troviamo l’Ultima Cena, la Lavanda dei piedi, la Preghiera nell'orto degli Ulivi, la Cattura di Gesù, Gesù davanti a Pilato, Gesù davanti a Caifa; nel registro inferiore troviamo infine le scene della Flagellazione, l’Ecce Homo, la Salita al Calvario, la Deposizione e la Resurrezione.
La grande e drammatica scena della Crocifissione, che colpisce l'attenzione del visitatore appena entrato in chiesa, rappresenta il fulcro patetico dell'intero ciclo.
Gian Martino Spanzotti, San Bernardino
Nei pilastri sottostanti troviamo raffigurata una immagine di San Bernardino ed un Cristo in Pietà, mentre ai lati degli archi, troviamo una Cacciata dall'Eden e scene del Giudizio Universale.
Il ciclo sul "tramezzo" della chiesa francescana d'Ivrea riflette non solo la esigenza pedagogica del committente di disporre, per l'ascolto delle prediche, di una "biblia pauperum" capace di tradurre le scritture in immagini, ma esprime soprattutto i tratti peculiari della devozionalità dei frati osservanti che punta a restituire una genuina carica umana al racconto evangelico. Spanzotti si dimostra capace di interpretare in modo esemplare il desiderio del committente, sviluppando una poetica nuova in grado di conferire al racconto la verità e la nobiltà dell'esperienza umana che è propria degli umili.

Nel suo saggio sugli affreschi di San Bernardino, Giovanni Testori osserva:
« È una nobiltà nuova quella che si fonda in questi anni nel Nord dell'Italia e alla quale lo Spanzotti offre questo suo inconfondibile tono: una nobiltà umana, anziché umanistica; il fatto riportato alle sue proporzioni reali e quotidiane, contro il fatto dilatato dall'iperbole dell'ideologia; il profondo del particolare, infine, contro l'esteso dell'universale. Ma reperire per costanza di verità una parola che ha durato e duri nel destino degli uomini, fitta nella loro carne e nel loro cuore, che grande, umana e, diciam pure, meritoria fatica! »

(Giovanni Testori, G. Martino Spanzotti – gli affreschi di Ivrea, 1958)
I colori ormai sbiaditi dal tempo e dalle ingiurie subite, non impediscono allo spettatore di apprezzare la qualità tecnica dei dipinti e la grande capacità dell'artista nel cogliere la diversa luce degli ambienti e delle ore del giorno.

« Spanzotti si trova libero di vedere stanze di gente contadina così come sono in una luce mattinale già pulite con cura a finestre aperte, con il tronco familiare dell’orto che è lì a portata di mano. [..] tanta è la sapienza dello Spanzotti nel trattare le luci sempre in modo naturale, secondo il variare dell'ora e dell'animo. Da quella luce viola che sembra scendere fredda e rabbrividente dalle montagne per rendere più pure le prime scene di sentimento raccolto e domestico (Annunciazione e Natività), a quella più calda dei grandi "aperti" dominati in primo piano dall'asinello vivacissimo (Fuga in Egitto, Entrata in Gerusalemme), a quella che bagna il Cristo nel momento della tragedia: quei panni intrisi di luce, nell'angoscia del sentimento - dall' Orazione nell'orto allo stare davanti a Pilato e a Caifa - una soluzione luministica, così carica di significato, da rendere grande da sola lo Spanzotti »

(Aldo Moretto, Indagine aperta sugli affreschi del Canavese, 1973)
Tra le molteplici qualità artistiche che il saggio di Testori sottolinea deve, quanto meno, essere menzionata la scena notturna della Cattura di Cristo, con quel «...fondersi inestricabile di ombre, figure, mani, lance, corazze e visi...» che anticipa di oltre un secolo il Caravaggio. Di particolare drammaticità, all'interno della scena della Crocifissione”, è l'accorre disperato della Maddalena, non immemore della lezione appresa dallo Spanzotti osservando la stessa figura negli affreschi eseguiti da Ercole de' Roberti (allievo di Francesco del Cossa) per il duomo di Bologna e nei "mortori" emiliani.
Elementi figurativi di chiara ascendenza nordica si spiegano attraverso la influenza esercitata sullo Spanzotti da Antoine de Lonhy.
In sintesi, attraverso gli affreschi del tramezzo, l'opera di Spanzotti si connota come punto d'incontro fertile delle espressioni artistiche presenti sui due versanti delle Alpi, aspetto che caratterizza per molti versi la peculiarità della produzione artistica in Piemonte nel corso di tutto il XV secolo.
Bibliografia
G. Testori, G. Martino Spanzotti – gli affreschi di Ivrea, Centro Culturale Olivetti, Ivrea 1958 (il saggio è stato riprodotto in Testori a Ivrea, (a cura dell'Associazione Giovanni Testori), Silvana Editoriale, 2004;
G. Romano, Giovanni Testori e Martino Spanzotti, in Testori a Ivrea, (a cura dell'Associazione Giovanni Testori), Silvana Editoriale, 2004
Aldo Moretto, Indagine aperta sugli affreschi del Canavese, Stabilimento tipo-litografico G. Richard, Saluzzo, 1973

Adele Rovereto, Il convento di S. Bernardino in Ivrea e il ciclo pittorico di Gian Martino Spanzotti, Priuli & Verlucca Editori, Ivrea, 1990

Itinerario MAM

Periodo della Meccanica
1896 Camillo Olivetti fonda la C.G.S., fabbrica di strumenti di misura elettrici. Fabbrica in mattoni rossi, sede della CGS.
1908 Fondazione della Società Olivetti.
1911 Viene presentata a Torino la M1, la prima macchina per scrivere italiana.
1912 Aperta la prima filiale Olivetti a Milano.
1920 Presentata in Italia la M20.
1926 Viene costituita la O.M.O. (Officina Meccanica Olivetti) che si occupa della costruzione di macchine utensili.Fabbrica OMO (in seguito demolita per far posto alla Nuova ICO).
1930 Nasce la M40.
Adriano Olivetti è a capo del neonato Ufficio Sviluppo e Pubblicità con il quale collaborano: Nizzoli, Figini e Pollini, Munari, B.B.P.R. ed altri.
1932 Presentata la prima portatile Olivetti MP1.
1934 Inizia la progettazione del primo ampliamento delle Officine ICO.
1935 Nasce la macchina per scrivere semi-standard Studio 42.
1937 Prima macchina telescrivente T1.
1938 Adriano Olivetti presidente della Società.
1939 Ulteriore ampliamento delle Officine ICO.
1940 Macchina da calcolo MC4S Summa disegnata da Nizzoli.
1941 Addizionatrice MC4M Multisumma. Inaugurato il nuovo asilo nido.
1942 Terminate le prime case per dipendenti a Borgo Olivetti ed in Via Castellamonte.
1943 Muore Camillo Olivetti.
1946 Esce la macchina da calcolo elettrica Elettrosumma. Nuovi edifici a Canton Vesco.
1948 Presentate la Lexicon 80 e la calcolatrice Divisumma 14, design di Nizzoli.
1950 Nuova portatile Lettera 22. Nuovo ampliamento delle Officine ICO.

Periodo dell'Elettromeccanica
1951 Costruite le case unifamiliari nel quartiere Castellamonte.
1952 Mostra Olivetti al MoMA di New York. Inizia la costruzione del Centro Studi ed Esperienze.
1954 Premio Compasso d'oro alla Lettera 22.
1955 Presentata la macchina contabile Audit 202. Inizia, a San Bernardo, la costruzione del nuovo stabilimento per la OMO e, ad Ivrea, l'ampliamento della Nuova ICO.

Periodo dell'Elettronica
1955 Calcolatore elettronico a valvole Elea 9000.
1957 Inizia la costruzione degli edifici per i servizi sociali di fabbrica.
1958 Esce la macchina da calcolo Elettrosumma 22.
1959 Calcolatore elettronico a transistor Elea 9003. Costruzione della Mensa centrale.
1960 Muore Adriano Olivetti.
1962 Si costruisce Palazzo Uffici.
1964 E. Sottsass disegna la Teckne 3 e la Praxis 48.
1965 Primo personal computer: Programma 101.
1969 Esce la Valentine.
1970 Si costruisce il Centro residenziale Ovest.
1973 Bellini disegna la Divisumma 18.
1976 Centro residenziale Est "La Serra".
1980 PC M20.
1984 PC M24.
1987 Ultimato Palazzo Uffici 2.

Officine Olivetti (fabbrica olivetti)
Pur non essendo un esempio di architettura razionalista, la fabbrica in mattoni rossi (come viene abitualmente chiamata) ha un grande valore storico: oltre ad aver ospitato la Prima fabbrica nazionale di macchine per scrivere Olivetti, l'edificio è stato realizzato su progetto dello stesso Camillo Olivetti.
Ciò che si vede oggi su via Jervis altro non è che una serie di ampliamenti (sempre con facciata in mattoni a vista) dell'edificio originale, ormai inglobato dai successivi interventi.

Officine ICO - 1° ampliamento: "Vecchia ICO"
Questo edificio, portato a termine nel 1939, fa parte del complesso "Officine ICO" di Ivrea, ampliamento (di circa 50.000 mq) della originaria fabbrica in mattoni rossi progettata da Camillo Olivetti nel 1895.
Dopo aver sopraelevato di un piano il primo ampliamento esistente e scartato il progetto che interessava la vecchia fabbrica, gli architetti Luigi Figini e Gino Pollini vennero chiamati a progettare un nuovo ampliamento delle officine Olivetti ad Ivrea.

Officine ICO - 2° ampliamento
L'edificio, portato a termine nel 1942, ha 3 piani fuori terra ed è caratterizzato da una facciata, quella su via Jervis, interamente vetrata. Questa, inizialmente più corta di quella visibile oggi, nel 1949 è stata ampliata ulteriormente, superando così una lunghezza totale di 100 metri.
Esposta a nord, la facciata ha un doppio ordine di infissi, appesi a mensole in cemento armato e distanti tra loro poco meno di un metro.
Per risolvere la differenza di quota tra i livelli del primo ampliamento e questo nuovo edificio, viene realizzato un ambiente, detto "Salone dei 2000" (tanti erano i dipendenti Olivetti allora), coperto da shed e circondato da rampe colleganti i vari livelli.
Visivamente, la differenza dei livelli viene "nascosta" grazie all'arretramento della facciata in conseguenza del raccordo tra i due edifici, soluzione adottata per seguire la leggera curva che via Jervis effettua in questo punto. Lo spazio così creato diventa ideale per l'ingresso alla nuova portineria, detta "del pino".


Asilo nido (Borgo Olivetti)
L'edificio sorge nella zona della città, dell'epoca, più funzionale al proprio utilizzo: la vicinanza con la stazione ferroviaria, i mezzi di trasporto e la fabbrica risultava un notevole aiuto per le mamme che, recandosi al lavoro, potevano agevolmente accompagnarvi i propri figli.
L'asilo, inoltre, è dotato di un'area sopraelevata e lontana dalla strada, adatta per la ricreazione all'aperto dei bimbi.
I muri dell'edificio sono stati realizzati in pietra ad "opus incertum", mentre i pilastri sono in pietra viva (diorite di Brosso), si pensa secondo un'antica usanza locale.
Il corpo principale racchiude nel perimetro della sua pianta un patio, separato dalla strada da un portico e coperto da un sistema di tende mobili.
Durante il periodo della II Guerra Mondiale, l'asilo fu utilizzato dai partigiani anche come infermeria.

Officine ICO - 3° ampliamento
Nel secondo dopoguerra, il complesso delle "Officine ICO" di Ivrea fu interessato da un ulteriore intervento di ampliamento, ancora ad opera degli architetti Luigi Figini e Gino Pollini ed ultimato nel 1949.
Di questo intervento, degne di nota sono le facciate su via Jervis e quella retrostante l'edificio. La prima (a nord), riprendendo il disegno del precedente ampliamento del 1942, viene prolungata di altre 7 campate e raggiunge così un fronte vetrato di oltre 100 metri.
Nello studio delle facciate verso via Montenavale ed il cortile (a sud) gli architetti decidono di arretrare la doppia vetrata. Per rendere minore l'insolazione nelle ore più calde, antepongono alla vetrata un reticolo formato da mensole sporgenti in cemento armato, alette orizzontali inclinate e lame verticali, anch'esse in cemento armato.
Dopo il collegamento con il successivo ampliamento, la vetrata su via Montenavale è scomparsa ed oggi le mensole con le alette in cemento sono visibili solamente in un tratto della facciata sud.
Per gran parte della facciata sul cortile retrostante, l'architetto Annibale Fiocchi firma una soluzione senza le alette inclinate, sostituite da tende alla veneziana. Queste verranno successivamente sostituite a loro volta da ante metalliche rotanti, disposte orizzontalmente e visibili ancora oggi.
Come per gli ampliamenti precendenti, i cortili interni, formati dalle maniche degli edifici perpedicolari tra loro, vengono coperti da shed, in modo da poterne sfruttare al massimo le aree interne.
Nel 2007 si sono conclusi i lavori di ristrutturazione dell'intero complesso 'ICO Centrale'.
Centro Studi ed Esperienze
L'edificio ha 3 piani fuori terra, più uno seminterrato, ed è costituito da 4 bracci asimmetrici disposti ortogonalmente tra loro, quasi a formare una croce, a partire da un corpo centrale contenente la scala e i vari servizi.
Le pareti esterne sono rivestite da piastrelle in klinker blu (chiaro e scuro), mentre la struttura in cemento armato è leggibile dall'esterno dal colore grigio, originariamente bianco, delle fasce marcapiano e dei pilastri perimetrali. I serramenti originali color rosso scuro ora sono di un rosso acceso molto contrastante con il resto dell'edificio.
Nel 1965, su progetto dell'architetto Ottavio Cascio, il secondo piano dell'ala est viene prolungato di 2 campate, a scapito di una delle terrazze.
L'edificio è stato recentemente ristrutturato da Ettore Sottsass e Marco Zanini per ospitare la sede dell'Interaction Design Institute Ivrea.