venerdì 22 aprile 2016

Romano Canavese (3T)

                                                                ROMANO CANAVESE
STORIA DI ROMANO CANAVESE
Secondo storici locali, Romano Canavese è sorto come castra (accampamento militare romano) nel 143 a.C., durante la guerra combattuta dai Romani contro la popolazione celto ligure dei Salassi. A ricordo di questa antica origine, vi sono ancora tracce della centuriazione romana nella campagna a sud del paese ed il tracciato del cardo e del decumano nell'intersezione delle vie che collegano il centro abitato con i paesi limitrofi.
Durante l'Alto Medioevo Romano dovette avere una certa importanza, se è vero che Carlo Magno tenne sotto le mura del borgo uno dei suoi Campi di Maggio. Testimonianze importanti della comunità romanese si hanno intorno al Mille, quando il territorio era feudo del Vescovo di Ivrea; bisogna ricordare che a quei tempi gran parte degli insediamenti dell'Anfiteatro morenico di Ivrea non esistevano ancora.
Nel XIV° secolo anche Romano fu coinvolto nella Rivolta dei Tuchini, un moto di ribellione ad opera dei contadini angariati dai nobili che viene ricordato anche nello storico Carnevale di Ivrea. Durante queste drammatiche vicende il castello venne distrutto e rimase intatta una sola torre, tuttora simbolo del paese. Per tutto il basso Medioevo la giurisdizione del territorio di Romano fu motivo di contrasto tra il vescovo di Ivrea e i Savoia. Alcune tra le famiglie nobili più potenti erano gli Orengiano e i conti di San Martino.
Nel XVI secolo Romano e i suoi abitanti furono coinvolti negli scontri tra le armate spagnole e francesi; è di questa epoca la descrizione del paese come una fortezza imprendibile munita di torri e ponti levatoi e difesa da mura e fossati.
Romano tornò ad avere un momento di gloria nel 1800 al tempo della Battaglia del Chiusella in cui emerse la figura del romanese Giacomo Pavetti, generale di Napoleone. Lo scontro tra l'esercito napoleonico e gli Austro Piemontesi presso il torrente Chiusella fu immortalato in un interessante dipinto conservato nel Museo di Versailles.
Di quest'epoca rimane nel territorio del Comune il vecchio ponte posto lungo l'antica direttrice stradale che univa Aosta con Torino.
Romano conserva ancora oggi preziose testimonianze della storia passata: l'imponente torre del castello, il recetto, chiese e palazzotti nobiliari, il centro storico; con i boschi e i vigneti della collina morenica esse fanno del paese un angolo stupendo del Vecchio Canavese.



COMUNE 



TORRE
 La Torre, che si trova isolata su una collina morenica, è il simbolo di Romano Canavese.
Risale al XIII secolo; è menzionata negli statuti di Romano del 1315: dalla torre venivano chiamati "con grida" gli uomini del borgo, in caso di pericolo.
Misura 5,50 x 5,40 metri alla base;l'altezza è di 27 metri circa. In origine la torre era dotata di merli ed era alta circa 25 metri. In un dipinto databile attorno al 1800, si può vedere la struttura originaria, prima che venisse costruita la cella campanaria; il bastimento non ha subito rimaneggiamenti.
La torre è costruita in mattoni e non presenta decorazioni. I muri hanno lo spessore di 1,60 metri alla base e sono composti da un paramento esterno e da uno interno, spessi 20-25 cm ciascuno; la cavità interna è riempita con sassi e pezzi di mattone, misti a malta.
La porta antica d'accesso è attualmente a sei metri dal piano di campagna; per accedervi doveva essere usata una scala di legno o di corda, rimovibile in caso di pericolo.
Nella parete verso ovest la torre presenta una profonda fenditura, provocata da un fulmine il 5 maggio 1890. 

CHIESA
La Chiesa di Santa Marta si trova all'interno del ricetto ed è adiacente alla torre porta sud.
Fino al 1843 era l'antica parrocchiale del borgo, intitolata a San Pietro. Dopo la costruzione della nuova chiesa parrocchiale, assunse il titolo di Santa Marta, ad uso dell'omonima confraternita.
La chiesa di San Pietro viene menzionata per la prima volta in documenti risalenti all'inizio del 1200.
Le sue origini sono romaniche, ma l'assetto attuale risale per la maggior parte all'epoca barocca. La struttura originaria venne ampliata, inglobando parti della cinta muraria dell'antico ricetto e addossando la chiesa alla torre porta a sud, di cui la parte più antica fu sopraelevata e utilizzata come campanile, poi crollato.
Il piccolo campanile attuale a forma triangolare risale all'epoca barocca. La chiesa presenta tre navate irregolari di ampiezza disuguale, chiuse da un abside rettangoare; il presbiterio è affincato da due locali, adibiti a sacrestie.

 

MERENDA SINOIRA
A Casa Del Conte è un piccolo locale in un contesto suggestivo dove ti potrai ritrovare non solo per pranzo e cena ma anche per colazioni e merende sfiziose.
La cosa più interessante è proprio questa merenda chiamata ‘sinoira’

La “marenda sinoira” è un piccolo pasto (freddo) frugale ma sostanzioso fatto alcune ore prima di cena e che funge quasi da cena. "Sinoira" infatti deriva da "sin-a" che in dialetto piemontese significa cena.
Diffusa, un tempo, soprattutto fra le famiglie contadine, si svolgeva intorno alle ore 17 ed aveva lo scopo di ridare energia dopo i faticosi lavori del primo pomeriggio e prima di affrontare i lavori serali legati alla terra ed alla stalla che si protraevano sino al calar del buio. La cena, verso le 21, di con¬seguenza, era piuttosto leggera: pane e latte o minestra di ver¬dura o panata ed eventualmente un pezzo di formaggio.
Interessante è la definizione di merenda che appare sul vocabola¬rio-dizionario piemontese-italiano Sant'Albino del 1859: "Il man¬giare fra il desinare e la cena - San Giusep a porta la marenda ant el fassolet, San Michel a porta la marenda an ciel - L'usanza fra i contadini, concede la merenda soltanto da San Giuseppe a fine Settembre (San Michele)”.
La "marenda ant el fassolet" significa che originariamente essa veniva portata nel campo in un fazzoletto (tovagliolo) e di con¬seguenza consumata all'aperto. Per dirla nel linguaggio moderno, era un "break" (a base di pane, formaggio e salumi) per corroborarsi, il quale, si svolgeva solamente nel periodo di massimo lavoro (dalla primavera all'inizio dell'autun¬no) che coincideva anche al periodo in cui le ore di luce erano maggiori e di conseguenza le giornate lavorative più lunghe.
Più ricca e più varia era invece la "marenda sinoira" consumata in casa al termine di un lavoro importante a cui, oltre ai componenti della famiglia offerente, partecipavano tutte le persone che avevano contribuito alla conclusione del la¬voro.

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