ROMANO CANAVESE
STORIA DI ROMANO CANAVESE
Secondo storici locali, Romano Canavese
è sorto come castra (accampamento militare romano) nel 143 a.C.,
durante la guerra combattuta dai Romani contro la popolazione celto
ligure dei Salassi. A ricordo di questa antica origine, vi sono
ancora tracce della centuriazione romana nella campagna a sud del
paese ed il tracciato del cardo e del decumano nell'intersezione
delle vie che collegano il centro abitato con i paesi limitrofi.
Durante l'Alto Medioevo Romano dovette
avere una certa importanza, se è vero che Carlo Magno tenne sotto le
mura del borgo uno dei suoi Campi di Maggio. Testimonianze importanti
della comunità romanese si hanno intorno al Mille, quando il
territorio era feudo del Vescovo di Ivrea; bisogna ricordare che a
quei tempi gran parte degli insediamenti dell'Anfiteatro morenico di
Ivrea non esistevano ancora.
Nel XIV° secolo anche Romano fu
coinvolto nella Rivolta dei Tuchini, un moto di ribellione ad opera
dei contadini angariati dai nobili che viene ricordato anche nello
storico Carnevale di Ivrea. Durante queste drammatiche vicende il
castello venne distrutto e rimase intatta una sola torre,
tuttora simbolo del paese. Per tutto il basso Medioevo la
giurisdizione del territorio di Romano fu motivo di contrasto tra il
vescovo di Ivrea e i Savoia. Alcune tra le famiglie nobili più
potenti erano gli Orengiano e i conti di San Martino.
Nel XVI secolo Romano e i suoi abitanti
furono coinvolti negli scontri tra le armate spagnole e francesi; è
di questa epoca la descrizione del paese come una fortezza
imprendibile munita di torri e ponti levatoi e difesa da
mura e fossati.
Romano tornò ad avere un momento di
gloria nel 1800 al tempo della Battaglia del Chiusella in cui emerse
la figura del romanese Giacomo Pavetti, generale di Napoleone. Lo
scontro tra l'esercito napoleonico e gli Austro Piemontesi presso il
torrente Chiusella fu immortalato in un interessante dipinto
conservato nel Museo di Versailles.
Di quest'epoca rimane nel territorio
del Comune il vecchio ponte posto lungo l'antica direttrice stradale
che univa Aosta con Torino.
Romano conserva ancora oggi preziose
testimonianze della storia passata: l'imponente torre del castello,
il recetto, chiese e palazzotti nobiliari, il centro
storico; con i boschi e i vigneti della collina morenica
esse fanno del paese un angolo stupendo del Vecchio Canavese.
TORRE
La Torre, che si trova isolata su
una collina morenica, è il simbolo di Romano Canavese.
Risale al XIII secolo; è menzionata
negli statuti di Romano del 1315: dalla torre venivano chiamati "con
grida" gli uomini del borgo, in caso di pericolo.
Misura 5,50 x 5,40 metri alla
base;l'altezza è di 27 metri circa. In origine la torre era dotata
di merli ed era alta circa 25 metri. In un dipinto databile attorno
al 1800, si può vedere la struttura originaria, prima che venisse
costruita la cella campanaria; il bastimento non ha subito
rimaneggiamenti.
La torre è costruita in mattoni e non
presenta decorazioni. I muri hanno lo spessore di 1,60 metri alla
base e sono composti da un paramento esterno e da uno interno, spessi
20-25 cm ciascuno; la cavità interna è riempita con sassi e pezzi
di mattone, misti a malta.
La porta antica d'accesso è
attualmente a sei metri dal piano di campagna; per accedervi doveva
essere usata una scala di legno o di corda, rimovibile in caso di
pericolo.
Nella parete verso ovest la torre
presenta una profonda fenditura, provocata da un fulmine il 5 maggio
1890.
La Chiesa di Santa Marta si trova
all'interno del ricetto ed è adiacente alla torre porta sud.
Fino al 1843 era l'antica parrocchiale
del borgo, intitolata a San Pietro. Dopo la costruzione della nuova
chiesa parrocchiale, assunse il titolo di Santa Marta, ad uso
dell'omonima confraternita.
La chiesa di San Pietro viene
menzionata per la prima volta in documenti risalenti all'inizio del
1200.
Le sue origini sono romaniche, ma
l'assetto attuale risale per la maggior parte all'epoca barocca. La
struttura originaria venne ampliata, inglobando parti della cinta
muraria dell'antico ricetto e addossando la chiesa alla torre porta a
sud, di cui la parte più antica fu sopraelevata e utilizzata come
campanile, poi crollato.
Il piccolo campanile attuale a forma
triangolare risale all'epoca barocca. La chiesa presenta tre navate
irregolari di ampiezza disuguale, chiuse da un abside rettangoare; il
presbiterio è affincato da due locali, adibiti a sacrestie.
MERENDA SINOIRA
A Casa Del Conte è un piccolo locale
in un contesto suggestivo dove ti potrai ritrovare non solo per
pranzo e cena ma anche per colazioni e merende sfiziose.
La cosa più interessante è proprio
questa merenda chiamata ‘sinoira’
La “marenda sinoira” è un piccolo
pasto (freddo) frugale ma sostanzioso fatto alcune ore prima di cena
e che funge quasi da cena. "Sinoira" infatti deriva da
"sin-a" che in dialetto piemontese significa cena.
Diffusa, un tempo, soprattutto fra le famiglie contadine, si svolgeva intorno alle ore 17 ed aveva lo scopo di ridare energia dopo i faticosi lavori del primo pomeriggio e prima di affrontare i lavori serali legati alla terra ed alla stalla che si protraevano sino al calar del buio. La cena, verso le 21, di con¬seguenza, era piuttosto leggera: pane e latte o minestra di ver¬dura o panata ed eventualmente un pezzo di formaggio.
Interessante è la definizione di merenda che appare sul vocabola¬rio-dizionario piemontese-italiano Sant'Albino del 1859: "Il man¬giare fra il desinare e la cena - San Giusep a porta la marenda ant el fassolet, San Michel a porta la marenda an ciel - L'usanza fra i contadini, concede la merenda soltanto da San Giuseppe a fine Settembre (San Michele)”.
La "marenda ant el fassolet" significa che originariamente essa veniva portata nel campo in un fazzoletto (tovagliolo) e di con¬seguenza consumata all'aperto. Per dirla nel linguaggio moderno, era un "break" (a base di pane, formaggio e salumi) per corroborarsi, il quale, si svolgeva solamente nel periodo di massimo lavoro (dalla primavera all'inizio dell'autun¬no) che coincideva anche al periodo in cui le ore di luce erano maggiori e di conseguenza le giornate lavorative più lunghe.
Più ricca e più varia era invece la "marenda sinoira" consumata in casa al termine di un lavoro importante a cui, oltre ai componenti della famiglia offerente, partecipavano tutte le persone che avevano contribuito alla conclusione del la¬voro.
Diffusa, un tempo, soprattutto fra le famiglie contadine, si svolgeva intorno alle ore 17 ed aveva lo scopo di ridare energia dopo i faticosi lavori del primo pomeriggio e prima di affrontare i lavori serali legati alla terra ed alla stalla che si protraevano sino al calar del buio. La cena, verso le 21, di con¬seguenza, era piuttosto leggera: pane e latte o minestra di ver¬dura o panata ed eventualmente un pezzo di formaggio.
Interessante è la definizione di merenda che appare sul vocabola¬rio-dizionario piemontese-italiano Sant'Albino del 1859: "Il man¬giare fra il desinare e la cena - San Giusep a porta la marenda ant el fassolet, San Michel a porta la marenda an ciel - L'usanza fra i contadini, concede la merenda soltanto da San Giuseppe a fine Settembre (San Michele)”.
La "marenda ant el fassolet" significa che originariamente essa veniva portata nel campo in un fazzoletto (tovagliolo) e di con¬seguenza consumata all'aperto. Per dirla nel linguaggio moderno, era un "break" (a base di pane, formaggio e salumi) per corroborarsi, il quale, si svolgeva solamente nel periodo di massimo lavoro (dalla primavera all'inizio dell'autun¬no) che coincideva anche al periodo in cui le ore di luce erano maggiori e di conseguenza le giornate lavorative più lunghe.
Più ricca e più varia era invece la "marenda sinoira" consumata in casa al termine di un lavoro importante a cui, oltre ai componenti della famiglia offerente, partecipavano tutte le persone che avevano contribuito alla conclusione del la¬voro.
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